UNA GIORNATA AL CAMPO DI UM AL MAHER

UNA GIORNATA AL CAMPO DI UM AL MAHER

UNA GIORNATA AL CAMPO DI UM AL MAHER

Umaher ha un’età indefinita tra i 40 e 60 anni, è vestita sempre di scuro e nel campo è lei che ha il “ruolo di comando”: “The king”, come la chiamano gli educatori.

Le lezioni si fanno dentro la tenda privata di una famiglia, perché al campo di Um Al Maher non ci sono molte risorse e sicuramente non abbastanza per costruire una tenda comune, come avviene a volte in altri campi. La proprietaria della tenda resta in classe per tutta la durata delle attività, sul fianco sempre il figlio di poco più di un anno. Quando era ancora incinta suo marito ha deciso di ritornare in Siria per sposarsi con un’altra donna, e lei è stata lasciata indietro con un bimbo non ancora nato.
Il campo di Umaher conta circa 200 persone, di cui più di 140 sono bambini. Vivono su un terreno privato di un contadino che li impiega stagionalmente e che li costringe a lavorare nei suoi campi sotto minaccia di sfratto. È un tipo di situazione comune per i profughi siriani nell’area di Mafraq. Molti di loro sono scappati dai grandi campi profughi di Zaatari e Zarqa perché le condizioni di vita non erano più sostenibili: mancanza cronica di lavoro, problemi di sicurezza e nessuna prospettiva per il futuro.

Il campo di Um Al Maher è particolare: è popolato quasi interamente di donne e bambini. Le donne, divorziate o più spesso vedove, si trovano a mantenere diversi figli da sole, e al contempo a dover lavorare anche 12 ore al giorno nella stagione del raccolto. Quando invece di lavoro non ce n’è, a causa dei ritmi stagionali, le alternative non sono molte. La città è troppo lontana. Si tratta di pochi chilometri, ma in mancanza di mezzi di trasporto e/o di soldi per muoversi diventa irraggiungibile. Anche per questo motivo molti dei bambini residenti al campo hanno grosse difficoltà a frequentare con regolarità la scuola. I bambini qui non hanno vita facile, ma un’energia smisurata. Si vede subito quando arrivano gli educatori: saltano l’uno sull’altro per entrare per primi nella tenda dove faranno lezione. Nonostante il costante chiacchiericcio pendono dalle labbra di Ashraf, che li guida in una serie di esercizi prima di iniziare la lezione. Mescolando tecniche di teatro a piccoli giochi i bambini ripassano velocemente quello che hanno fatto il giorno prima e ritrovano la concentrazione per iniziare la lezione. Ashraf si occupa delle materie umanistiche mentre Ayah di quelle scientifiche. Il livello di scolarizzazione è molto basso, tanti dei bambini di età compresa tra gli 8 e i 12 anni sono quasi completamente analfabeti. Per questo motivo Ayah e Ashraf sono ripartiti dalle basi, utilizzando il gioco e la partecipazione attiva di tutti i bambini per insegnare i suoni e le lettere dell’alfabeto arabo.

Quando arriva il momento di Ayah, che si occupa di insegnare matematica e scienze, spesso i bambini si travestono e giocano a fare i commercianti o gli scienziati, scambiandosi monete e chicchi di riso per imparare il valore dei soldi e a fare semplici operazioni.

A metà pomeriggio è l’ora della merenda, che porta sempre molta gioia. Una volta ricaricate le energie con un po’ di frutta e dolcetti, se non fa troppo freddo, la classe esce tutta assieme a giocare guidata dagli educatori. Il momento del gioco strutturato e collaborativo è molto importante per tutti. Tanti di questi bambini hanno difficoltà a relazionarsi coi propri pari e avere la possibilità di imparare a relazionarsi attraverso il gioco, guidati da educatori professionisti, è un’ottima occasione. Spesso Ayah e Ashraf hanno trovato i bambini che da soli ripetevano i giochi del giorno prima. In questo modo, attraverso il gioco, è stato possibile anche raggiungere in via indiretta tanti altri bambini che abitano nel campo, e che per motivi di numeri non hanno potuto partecipare direttamente alle attività.

Quando è il momento di andare i bambini salutano di gran fretta gli educatori e tornano a qualsiasi gioco stessero facendo prima, pronti a ricominciare il giorno dopo.