Il giorno dopo a Kabul

Il giorno dopo a Kabul

Mentre le immagini degli ultimi voli in partenza da Kabul scorrono sugli schermi, si incomincia a pensare al dopo. Molti afghani in questi giorni si sono mossi verso i confini del paese. Al valico di Thorkam con il Pakistan si sono formate code infinite, così come davanti a quello meridionale di Sin Boldek. A Thorkam si è passati dagli usuali 6 mila transiti giornalieri a oltre 20 mila. È evidente che alla favola dei talebani buoni abbiano creduto, o abbiano finto di credere durante i colloqui di Doha, solo gli USA di Trump. Non sappiamo fino a quando i valichi rimarranno aperti, ma abbiamo notizia che i trafficanti siano ora in piena attività, in particolare sulla rotta per la Turchia, attraverso l’Iran. Fino a pochi giorni fa il costo del passaggio erano 3 mila dollari, prezzo destinato ad aumentare esponenzialmente con l’acutizzarsi della crisi.

Un dato è comunque evidente: una gran parte degli afghani, soprattutto gli abitanti delle città, non può accettare l’idea di rivivere l’incubo dell’emirato talebano. E ciò non riguarda solo quanti in pericolo perché espostisi nei venti anni della presenza occidentale o quanti hanno collaborato con le “potenze occupanti”. Riguarda tutti coloro che hanno esperito una modalità diversa di vita e sanno che non si potrebbero adattare ai dettami della Sharia. D’altro lato i taleb si sono detti preoccupati della possibilità che i quadri direttivi e tecnici del paese possano espatriare in massa, lasciando l’Afghanistan allo sbando.

Riceviamo appelli disperati da Kabul ed Herat, ai quali non possiamo più rispondere concretamente. Cerchiamo di mandare messaggi positivi, li invitiamo a non uscire, non spostarsi e in particolare non tentare di raggiungere l’aeroporto. Ma è difficile, perché ogni essere umano in quella condizione cercherebbe una via di scampo. Ora sappiamo che Erdogan ha costruito in tempi record un muro verso l’Iran e che la frontiera turca è presidiata militarmente. Rimangono i valichi con il Turkmenistan, l’Uzbekistan e soprattutto il Pakistan. L’Afghanistan possiede inoltre 76 chilometri di frontiera con la Cina a nord est, -il passo del Wakhjir a quasi 5 mila metri di altitudine, che non appaiono praticabili.

Si profila la possibilità di riprendere le evacuazioni dal Pakistan, una prospettiva comunque molto complessa e che richiederebbe un alto livello di cooperazione tra i paesi dell’ex coalizione, l’ONU, il governo locale. Un piano che dipende dal fatto che le frontiere si mantengano aperte. I taleb da un lato a Doha avevano espresso la disponibilità a dare vita ad un governo di coalizione, dall’altro hanno preso direttamente il potere. Si sono presentati come una forza più moderata rispetto al passato, ma stanno promulgando provvedimenti contro il lavoro e l’istruzione femminili. Colpisce il recente divieto di ascoltare musica o video. Intanto il personale qualificato scarseggia e la macchina amministrativa si è bloccata. Le banche sono chiuse ed è probabile che la valuta afghana subisca una forte svalutazione alla riapertura. È inoltre possibile che nelle prossime settimane i generi di prima necessità inizino a scarseggiare in particolare nelle città.

Se le condizioni lo permetteranno, le ONG paiono determinate a riavviare i programmi di aiuto umanitario all’interno del paese. Si tratta di una prospettiva molto complessa, in quanto dovremmo riattivare la logistica in condizioni critiche e senza il supporto degli uffici dell’Agenzia alla Cooperazione e dell’Ambasciata italiane, che hanno smobilitato. Gli aiuti potrebbero essere comunque coordinati da Islamabad, dove ha sede l’AICS. L’importante è evitare una soluzione di continuità nella nostra presenza e, con questa, il venir meno della speranza da parte dei tanti che stanno attendendo un segnale.

D’altro lato rincuorano i volti sorridenti dei profughi atterrati a Fiumicino e negli altri aeroporti occidentali. Vento di Terra, tramite il proprio rappresentante in Albania, sta inoltre collaborando all’operazione ancora in atto tra Kabul e Tirana, decisa alcune settimane fa dal premier Rama. È straordinario che questo piccolo paese sia così profondamente impegnato sul piano della solidarietà e miri a raggiungere la quota di 3 mila afghani espatriati. Un risultato che, se raggiunto, farà impallidire i programmi europei e dall’altro avvicinerà il paese balcanico all’Unione Europea.

Il messaggio a quanti ci stanno inviando appelli dall’Afghanistan è dunque non muoversi, non uscire e non tentare imprese rischiose in questa fase così confusa e delicata. È probabile che la situazione si chiarirà nei prossimi giorni, in particolare dopo la realizzazione del G20 proposto dall’Italia e dedicato all’Afghanistan. Un vertice sul quale la Russia sta ponendo condizioni, ma che costituirebbe una tappa fondamentale per la risoluzione della crisi. Noi di Vento di Terra intanto, in stretto coordinamento con le altre ONG e AOI (Associazione ONG Italiane), ci stiamo preparando.

 

29 agosto 2021

Massimo Annibale Rossi,

Responsabile Vento di Terra Afghanistan