Dagli occhi delle donne afghane

Dagli occhi delle donne afghane

Ovunque sulla stampa europea sono apparsi articoli di sostegno e preoccupazione per la condizione delle donne afghane dopo il crollo della Repubblica e la proclamazione dell’emirato da parte dei talebani. Pochi tuttavia si sono chiesti come coloro che hanno seguito gli incitamenti delle organizzazioni e dei governi occidentali a realizzare percorsi di autonomia si sentano ora. Ci sono centinaia di donne che, seguendo percorsi protetti, sono state sottratte a matrimoni precoci, a contesti di violenza inaudita, ad una morte certa. Sono state allontanate per loro volontà dalla famiglia di origine, spostate in altre città e inserite in programmi di riabilitazione. Abbiamo notizia di decine di case protette di questo tipo in cui ora le donne sono lasciate a se stesse. Le ong locali che se ne occupavano sono state chiuse dal nuovo regime, mentre quelle internazionali, tranne qualche eccezione, hanno abbandonato il paese.

Cosa possono, prigioniere dietro le sbarre delle case un tempo rifugio, pensare di noi, che prima le abbiamo indotte a lasciare la famiglia e poi abbandonate al loro destino? Sono passati due mesi dal crollo di Kabul e ancora non hanno il coraggio, né la possibilità, di lasciare le case. La Sharia prevede che le donne musulmane possano uscire accompagnate da un familiare stretto o dal marito. In ogni caso rischierebbero la lapidazione pubblica per adulterio, in quanto ogni violazione al codice familiare è equiparato al tradimento.

Abbiamo poche notizie di loro, che ci giungono dagli operatori delle ong afghane che non hanno lasciato il paese e hanno mantenuto i contatti. Sono voci di supplica, disperate e sempre più deboli, in quanto molte delle case hanno terminato le scorte alimentari.

Appare chiaro che abbiamo una responsabilità nei loro confronti e di coloro, che sono molti, che si trovano in situazione di estremo pericolo per le passate collaborazione con gli occidentali, militari e non. Tuttavia visti, voli umanitari e iniziative sul campo stentano a concretizzarsi, lasciando scorrere tempo prezioso. Le diplomazie sono al lavoro dopo lo shock della frenetica e sanguinosa evacuazione di Kabul. Gli incontri e le dichiarazioni si succedono, ma la situazione sul campo si fa sempre più grave e il lamento delle donne “protette” più flebile.  Appare fondamentale riprender al più presto l’operatività delle ONG sul campo, definire percorsi a partire da priorità quali le case protette.

Per questo abbiamo bisogno di voi.